La promiscuità ospedaliera non preserva operatori e pazienti. Ospedali Spoke, da luoghi dimenticati a trincee
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Ormai sembra un grido unanime proviente da diverse personalità:”I presidi di periferia non sono in grado d’ospitare i pazienti Covid!”
Questo è un momento delicato!
Una sanità precaria quale quella calabrese, che arranca nel darsi una logica; un popolo che sembra distratto da proclami circa la creazione di fortini anti covid negli ospedali di periferia.
I presidi spoke, quelli che in nome del piano di rientro attuato 10 anni fa, sono stati abbandonati, violentati, stuprati da politiche centraliste e da anni d’incuria, ora di colpo, s’apprestano a diventare avamposti di trincea per sconfiggere il nemico invisibile che ci sta inginocchiando.
Ma è possibile che nessuno s’interroghi sul perché un ospedale come quello di Crotone, del quale a Catanzaro neppure conoscevano l’allocazione, partendo da una situazione iniziale di 4 (Dico quattro) posti letto in intensiva, nel giro di una settimana sia stato equipaggiato con 50 posti tra intensiva, sub-intensiva, infettivi e pneumologia, seppur nella consapevolezza che fino ad una settimana fa parte del personale medico e paramedico abbia consumato le suole delle proprie scarpe tra corridoi e reparti, nella più completa promiscuità, magari facendo a loro volta (loro malgrado) da vettori del maledetto virus?
Possibile che nessuno si faccia delle domande sul perché l’asp di Cosenza dopo anni ed anni d’abbandono del presidio di Corigliano Rossano, di colpo si decida ad investire in un fortino Covid nel Plesso Bizantino, pur sapendo che lo stesso nella sua storia non ha mai ospitato un reparto malattie infettive né una pneumologia e parimenti a Crotone partisse dalla condizione iniziale di soli 4 (Ribadisco quattro) posti in terapia intensiva?
Interroghiamoci sul perché due città di poco più e poco meno di 70mila abitanti siano impattate da circa 15 casi conclamati a testa di Covid 19 (senza parlare delle aree di riferimento ai due nosocomi: Crotoniate e Sibaritide) mentre nei Capoluoghi storici i casi conclamati scendono a meno di 5 a testa.
Analizziamo il perché, presidi come Castrovillari (che oltretutto ha da sempre avuto un reparto di pneumologia anche rinomato) e Cetraro, ospedali periferici quanto quelli di Corigliano Rossano e Crotone (perché forse a molti non è ancora chiaro che Crotone è un Presidio spoke, così come Vibo e Lamezia), abbiano lamentato sin dai primi momenti dell’investitura a poli Covid, le proprie perplessità relativamente al fatto di essere inadeguati al compito affidatogli.
Come se non bastasse, lo stesso presidente dell’ordine dei medici di Cosenza, definisce assolutamente incauto pensare di trattare i pazienti Covid negli ospedali spoke, proprio per la mancanza di presidi d’isolamento degli stessi e quindi il rischio concreto di crossover del virus tra personale medico, paramedico e degenti.
Certo poi fa comodo alla pancia del popolo scagliarsi contro 300 dipendenti, che sicuramente non difendo poiché non mi compete professione forense, ma nessuno cerca di capire che se è malata una categoria, è l’intero sistema sanitario che è affetto dalla medesima patologia.
Un sistema sanitario che sta permettendo (nonostante la situazione lombarda sia ormai chiara a tutti, ovvero che la valvola di contagio principale sono state proprio le strutture sanitarie non pronte all’impatto e sopratutto per aver lavorato in un regime di promiscuità) che sia gli ospedali Hub, sia gli Spoke trattino indistintamente i casi covid e i non covid, vanificando talvolta i sistemi di distanziamento sociale che i vari DPCM ci stanno chiedendo.
Forse sarebbe bastato riorganizzare il sistema HUB-SPOKE, sgravando gli HUB dalle degenze non covid che avrebbero potuto tranquillamente essere riallocate sulle strutture SPOKE e nelle cliniche private per quanto riguarda gli acuti, e le degenze mediche presso le strutture dismesse o parzialmente tali.
In questo modo non ci sarebbe stato il rischio di recarsi in ospedale per una banale abrasione e magari rientrare a casa contagiato dal virus solo perché si è stazionato per qualche ora in un ambiente contaminanto.
La guerre si combattono, sia chiaro!
Ma bisogna essere equipaggiati e preparati per fronteggiare il nemico.
Come si può pensare di sconfiggere un avversario invisibile e letale con mascherine di pezza riciclate e senza i presidi di sicurezza atti a preservare sia il personale sanitario sia gli avventori presso gli ospedali, luoghi quest’ultimi che a causa della promiscuità di contagiati e non, potrebbero rappresentare l’incubatrice virale, piuttosto che essere strutture nelle quali purificarsi dall’insana patologia.
L’area della Magna Graecia purtroppo, ad oggi risulta essere la più impattata, sia in termini di contagio sia in termini di quarantene rispetto al resto della Regione.
Mi chiedo: “Cosa succederà quando il virus eventualmente dovesse fare man bassa di tutti quei centri dell’entroterra Jonico popolati sopratutto da persone anziane e pertanto sottoposte ad un’aggressione più cruenta?”
Forse è giunto il momento di fare rete differenziando le strutture, evitando quindi la possibilità del contagio massivo da promiscuità.
I ragionamenti relativi alle sacrosante richieste, sia demografiche sia territoriali, di un servizio sanitario d’eccellenza per l’Arco Jonico Magnogreco, che giocoforza dovrà pretendere un Presidio di tipo Hub nel suo territorio, con un’azienda Ospedaliera ed una centrale operativa del 118 ivi allocata, facciamolo quando questa maledetta situazione sarà solo un brutto ricordo, altrimenti non ci resterà neppure il ricordo ma solo rimorsi e rimpianti.
Domenico Mazza