CORIGLIANO-ROSSANO CAPOLUOGO È L’UNICA CHIAVE DI SVOLTA CON CROTONE PER UNA FORTE PROVINCIA
La fusione senza tale riconoscimento rischia di rivelarsi un processo inutile. La Provincia Pitagorica ha dimensioni demografiche insufficienti, Magna Graecia mette insieme le due esigenze e rilancia l’intera fascia Jonica
Corigliano-Rossano Capoluogo è lo step successivo al processo di Fusione, altrimenti a nulla è servito ricorrere a questo istituto. L’istituzione di Capoluogo di una Provincia (o Area Vasta) blinda un territorio da eventuali scippi, eleva un’area a punto di riferimento nelle strategie di pianificazione pubblico-privata, riconosce il territorio come base di partenza nelle gerarchie dei partiti, delle organizzazioni sindacali, delle associazioni di categoria, tutti organismi centralizzati grazie al riconoscimento del Capoluogo. Senza tutto questo Corigliano-Rossano rimarrà solo un Paese leggermente più grande rispetto a prima. E diventa inutile anche predicare dalle varie postazioni pubbliche: “Siamo la prima città della provincia di Cosenza”. D’altronde a Cosenza si guarda a un’area metropolitana e, nel tempo, anche demograficamente tornerà a collocarsi al primo posto. L’esperienza di Crotone, che è già capoluogo ma di una piccola Provincia, deve far riflettere sull’importanza fondamentale di una società oggi incentrata sulla logica dei numeri. Una Capoluogo di una Provincia di modeste dimensioni si rivela quasi inutile, se non inutile, mentre un progetto di Provincia di proporzioni più consistenti come la proposta Magna Graecia (420mila abitanti e due Capoluoghi) avrebbe una valenza parimenti alle altre Province storiche calabresi.
Del resto la famosa legge “Del Rio”, nata a seguito del tentativo di riforma Costituzionale, poi prematuramente abortita, avrebbe dovuto normare un nuovo contesto di regionalismo: Aree Metropolitane, Aree Vaste, Unioni e Fusioni di Comuni. Tuttavia, il limbo della incostituzionalità, causa il mancato passaggio del famoso “Referendum Renzi”, ne ha intralciato alcuni capisaldi, creando, nei fatti, la solita confusione, condita in salsa tutta italiana. Le Regioni avrebbero dovuto cedere il passo alle Macroregioni. Le aree Metropolitane, da attuare in contesti che accarezzassero una demografia prossima al milione di abitanti. Le vecchie Province avrebbero lasciato il passo alle Aree Vaste a patto che queste inverassero almeno una demografia non inferiore a 350mila abitanti e 2500km² di superficie. Le Unioni e le Fusioni dei Comuni, pensate per massimizzare le economie di scala, ottimizzare i servizi nelle comunità contermini, consentire ad embrioni di realtà urbane di consolidarsi in vere e proprie città, demograficamente e territorialmente definibili come tali.
Invero, poco di quanto suindicato è stato fatto, ed anche laddove sono stati attuati processi di tale natura, si è proceduto in maniera raffazzonata e senza un principio fedele ad una norma ben stabilita. Nelle more della legge “Del Rio”, si forniva a quegli Enti provinciali, demograficamente inconsistenti, di poter valutare aggregazioni con porzioni di Comunità provinciali contermini, al fine di mantenere lo status di Provincia, a patto che la nuova geografia non impattasse negativamente l’Ente soggetto a scorporo. In Calabria si è preferito attuare la pratica della restaurazione, ed al riconoscimento dell’Area Metropolitana all’ex Provincia di Reggio Calabria, si è proceduto con l’individuazione di due Aree Vaste: la Calabria Centrale e la Calabria del Nord. Sostanzialmente la riproposizione degli ambiti facenti capo ai Capoluoghi storici, Catanzaro e Cosenza. Pertanto pur rimanendo lo status di Provincia a Crotone e Vibo, nei fatti i servizi dei succitati ambiti venivano centralizzati a favore della città di Catanzaro. E parimenti dicasi per Cosenza, che, seppur non avendo subito scorpori negli anni, (la Provincia della Sibaritide non fu mai attuata, ma se anche l’avessero attuata avrebbe subito la medesima sorte della Provincia di Crotone, per ovvi limiti demografici e territoriali rispetto la Provincia madre di Cosenza) raccolse a sé tutte le competenze distrettuali un tempo presenti sull’area jonica.
Oggi però esiste, e con buona pace dei detrattori, un processo di fusione che ha sancito la nascita di una nuova città lungo l’area Jonica del nord est. Una città, Corigliano-Rossano, che da sola non ha un suo ambito, demograficamente e territorialmente parlando, per aspirare ad un riconoscimento di guida territoriale, ma che congiuntamente a Crotone ed alla sua Provincia, avrebbe tutte le carte in regola per aspirare al legittimo riconoscimento di Capoluogo, consentendo al contempo a Crotone di inverare il ruolo di Capoluogo e non già un proforma. Un’Area Vasta, quindi, l’Arco Jonico Magnograeco, che non solo poggerebbe i suoi capisaldi sul policentrismo, ma che non arrecherebbe danno alcuno agli ambiti dei Capoluoghi storici, anzi darebbe valore aggiunto al sistema Calabria, questo si, ad oggi, totalmente squilibrato e da riformare. Insomma una nuova Area Vasta, fedele per vocazioni ed affinità territoriali, con due Capoluoghi (come la norma consente) che non nascerebbe contro qualcosa o qualcuno, contro Cosenza o Catanzaro, ma per equilibrare e decentralizzare un sistema politico-economico asfissiante ed avvitato su se stesso.
Un nuovo ambito che permetterebbe l’ottimizzazione dei servizi, in campo sanitario, dei trasporti e di una nuova redistribuzione del gettito di Stato e della fiscalità. Insomma, un’Area Vasta, l’unica demograficamente e territorialmente, costituibile lungo l’area del nord est calabrese. Del resto chi ancora pensa di poter costituire embrioni d’Area Vasta nella sola provincia di Cosenza, o disconosce totalmente i principi in materia, o mente sapendo di mentire. O molto più probabilmente è talmente legato ai centralismi, da predicare bene pur razzolando male e finendo per essere prono ai desiderata della città Bruzia. E parimenti dicasi per Crotone, a meno che non voglia continuare a recitare il ruolo di periferia agli interessi della città delle Aquile.
Un passo importante è stato già fatto! Da qui ai prossimi due anni, l’area della Magna Graecia è già stata compresa in un unico collegio elettorale. Giocoforza la realtà Crotoniate, Silana, Sibarita e Federiciana, si ritroveranno a parlare la stessa lingua. Quella che nei fatti avrebbero dovuto sempre parlare, ma che strabiche visuali centraliste hanno preferito impedire per tutelare gli interessi di bottega, mantenendo ambiti succinti utili quali serbatoio ad ogni campagna elettorale.
E proprio al prossimo Consiglio regionale spetterebbe il compito di sanare una devianza che prevede collegi diversi, nella stessa Regione, a seconda della tipologia di elezioni di riferimento. Non è concepibile che il Crotoniate e la Sibaritide si ritrovino nel medesimo collegio politico e per la campagna regionale agiscano come feudi agli interessi dei rispettivi ( e reciproci) centralismi di Cosenza e Catanzaro. Il Consiglio che verrà dovrà affrontare la problematica di uniformare gli ambiti di collegio secondo criteri di logicità e soprattutto di affinità tra territori. Stabilire dei collegi in ambito regionale che ricalchino quelli nazionali, significherebbe, riportare la politica sui territori, rimettendo al centro il ruolo delle “poleis” e complessivamente riformando un destrutturato e fallito “Sistema Calabria”. Come Comitato, abbiamo già chiarito che saremo distanti, ma vigili da qualsivoglia schieramento politico, pur non nascondendo di appoggiare qualsiasi partito, unione civica o aspirante Candidato alla Presidenza che dimostrerà lungimiranza trattando i temi che ormai dibattiamo, ininterrottamente, da circa due anni.
Ufficio stampa – Comitato Magna Graecia