Il popolo dell’Arco Jonico: i diversamente Calabresi.
Le sperequazioni inflitte a Sibariti e Crotoniati ne fanno i figliastri di una Regione matrigna.
Si parla tanto di mancata equità fra nord e sud della Nazione, nonché di tutto ciò che a questo insano andazzo è collegato.
Si discute di un Paese che ha generato figli e figliastri che sottrae sempre più ad un Mezzogiorno depresso per devolvere ingenti somme verso un nord, già oltremodo sviluppato e per questo portato ad una eccessiva saturazione.
Poco però, se non nulla, si dice sull’invisibilità, la trasparenza, l’inconsistenza che l’Area Jonica Magnograeca, sconta rispetto all’altro versante della Regione.
Un sistema di trasporti pubblici che da un lato offre una parvenza di civiltà: autostrada, linea elettrificata ed a doppio binario, treni veloci, aeroporto internazionale, un porto reso crocevia del Mediterraneo, ecc. Dall’altro versante una strada (e già tale appellativo sa d’eufemismo) olocausto infernale con più croci che lampioni, con svincoli ed accessi abusivi e per buona parte del suo lungo tragitto non superiore ai 6 metri d’ampiezza e con punte di traffico che, in alcuni casi, superano finanche l’A2. Una ferrovia monobinario, ancora non elettrificata, e risalente al periodo dei Borbone. Una sanità che non rispetta neppure il minimo sindacale dei LEA (meno di un posto letto ogni 1000 abitanti contro i 3 su 1000 del resto della Regione), nessun presidio di Giustizia tra Taranto e Crotone, ed un numero di forze dell’ordine ridotto ad un terzo di quelle che dovrebbero esserci.
Tutto ciò, ed altro ancora, ha contribuito notevolmente a generare quell’appendice periferica, ormai in cancrena, che è lo Jonio rispetto alle aree del centralismo. Una periferizzazione che oltre la geografia ha creato un ritardo culturale che, da Sibari in giù, si taglia con il coltello.
Si avverte quanto le popolazioni e anche gli Amministratori, ad ogni livello di rappresentanza, (non tutti per fortuna, ma sicuramente la stragrande maggioranza) si sentano in una posizione di disagio, ancor prima culturale che geografica, rispetto alle aree dei Capoluoghi storici. Non si spiegherebbe altrimenti la mancanza di visione, di progettualità, di politiche che riverberino benessere alle popolazioni.
Non è pensabile di poter assistere, sullo Jonio, alla celebrazione di ordinaria amministrazione presentandola con effetti di straordinarietà, pur nella consapevolezza di aver mescolato il nulla al niente, quando dall’altro lato vengono partoriti progetti sinergici e dalla lungimirante parvenza.
E non è neppure giustificabile l’atteggiamento arrendevole delle popolazioni e degli Amministratori che si dilettano a manifestare rabbia sui social senza poi però alla protesta far seguire la proposta.
Senza una riorganizzazione regionale che sia foriera di un nuovo ed equilibrato bilanciamento, prima culturale e di conseguenza su basi territoriali caratterizzate da affinità e comuni interessi, l’Arco Jonico, Sibarita e Crotoniate, andrà sempre più verso una deriva in cui il territorio non potrà considerarsi parte di una Regione, ma, giocoforza la sua parte diversa: i diversamente calabresi.
La politica, il civismo, le casacche di tutto l’Arco Costituzionale sono chiamate ad un’operazione non più differibile: schiarirsi le idee smettendola con proclamazioni di vacuità e studiando le modalità per portare fuori dal baratro della depressione un territorio ormai alla canna del gas.
Il prossimo Consiglio regionale, qualunque sia il colore che lo caratterizzerà, non potrà permettersi il lusso di continuare a tenere nell’indigenza un quarto della popolazione calabrese.
Un corpo non funzionerà mai alla perfezione se ogni organo ed ogni arto non saranno messi in condizione di generare sincronie contribuendo, ognuno per la sua parte, all’armonizzazione dell’insieme.
Se questa Regione continuerà ad essere madre con Taluni e matrigna con Altri, allora non sarà più il caso di chiamarla Regione, ma guazzabuglio malriuscito di un’amalgama pensata solo per tutelare sacche di accoliti a danno di intere collettività.
Domenico Mazza