Calabria: terra illusa e vilipesa anche dallo Stato
Lettera aperta al Commissario Longo
Con le lacrime negli occhi e il dolore nel cuore.
Le scrivo Dott. Longo, in aggiunta alla Pec inviatale il 16 Febbraio u.s., per esprimerle il mio dolore nel vedere la mia terra illusa e vilipesa anche da parte dello Stato.
Uno Stato che troppo spesso latita e, che con i suoi silenzi assordanti ferisce la Calabria, la umilia, la denigra, la svende e la espone al pubblico ludibrio.
Le avevo inviato una Pec al suo indirizzo di posta certificata istituzionale in cui, viste le sue dichiarazioni sulla carenza di persone nel suo team commissariale, mi ponevo a sua completa disposizione nel coadiuvarla e, in special modo essere di ausilio alla nostra disastrata sanità.
Da calabrese mi sono sentito umiliato nell’assistere alle impietose querelle di commissari ad acta che si sono succeduti e, le conseguenti vicende notorie a tutti e su cui non voglio soffermarmi per non ferire ulteriormente la mia gente.
Noi calabresi siamo gente orgogliosa e con dignità da vendere.
Il nostro popolo non c’è l’ha con lei in quanto persona ma, per quello che rappresenta e riveste.
La questione sanità in Calabria ha dei lati oscuri, i tanti ammanchi, i bilanci poco chiari, le nomine clientelari, sono solo la punta dell’iceberg di un sistema fatto da una collusione ndranghetistico-massonica che lo Stato centrale conosce bene ma che, nei vari programmi di governo, la lotta alla mafia non appare essere una priorità, anche prima della pandemia era così.
Per intenderci quegli stessi Governi che nel corso degli anni hanno nominato i commissari succedutisi e che, confezionavano strutture commissariali anziché rafforzare la lotta al malaffare.
Adesso il Re (la sanità calabrese) è nudo, sembra di avere scoperto l’acqua calda con l’avvento della pandemia.
I calabresi avevano paura ad andare in un ospedale già da decenni.
I calabresi erano in emergenza prima del covid, mancano risorse umane e mezzi da anni, si era vittime di mala sanità da tempi immemorabili.
Ci sono tanti paesini ultra periferici con una orografia tale da non consentire nemmeno il transito di un mezzo di primo soccorso (che mancano pure), in special modo nei mesi invernali, e in cui molti dei pochi presidi di guardia medica esistenti sono stati soppressi e, i pochi ancora presenti sono sforniti di tutto.
Veniamo trattati come una colonia schiavistica asservita ad uno Stato centrale che conosciamo solo durante le campagne elettorali e il pagamento delle imposte che vanno pagate se si hanno i servizi.
I figli della Calabria non hanno paura soltanto del covid ma, hanno paura anche per un unghia incarnita o una caviglia slogata.
Entrare in un pronto soccorso significa attendere giornate intere ed essere sballottati da un nosocomio ad un altro anche per una semplice consulenza o esame strumentale.
Non abbiamo bisogno di ragionieri per far quadrare i conti, è vero che i bilanci sono fatti di fatture pagate più volte ma è altrettanto vero che certe persone vanno rimosse senza se e senza ma.
La Calabria non aveva bisogno di un piano di rientro chiudendo Ospedali ma di un nuovo stile di amministrare la cosa pubblica in modo chiaro con la rimozione di talune figure onnipresenti.
Io vivo la realtà sanitaria, quella del basso jonio cosentino, in cui esiste un ospedale con cento posti letto ognuno fornito di ossigeno, una struttura nuova e funzionale ma chiusa per lo scellerato piano di rientro.
Parlo della struttura ospedaliera “Vittorio Cosentino” di Cariati dove, da quasi quattro mesi viene occupato in segno di protesta da parte dell’associazione” Le Lampare”, una lotta dura e in cui credono questi ragazzi.
Ahinoi abbiamo assistito alle consuete passerelle degli amministratori che promettono consegne di fasce tricolore e loro dimissioni, facendo credere ai loro amministrati che “il ciuccio vola”, Presidenti ff di Regione solidali, solo per quel giorno e, dirigenti ASP dalla promessa facile.
Commissario, lei è stato ed è un uomo delle Istituzioni e, deve capire che negli spazi vuoti lasciati dalla assenza dello Stato trova terreno fertile la ndrangheta che, approfittando dello sconforto e della sfiducia della gente diventa essa stessa Stato.
Commissario, gli errori ed i ritardi dello Stato, consegnano il popolo calabrese ancor più alla criminalità organizzata.
Siamo stanchi di essere presi in giro, siamo stufi di impegni assunti solo su chilometri di carte bollate, non crediamo più alle promesse; se lo Stato vuole far vedere ai calabresi che esiste si deve manifestare con i fatti concreti, non con i proclami.
Commissario, i calabresi pretendono LEA (livelli essenziali assistenza) e LEP (livelli essenziali prestazioni) come il resto d’Italia, i calabresi sono stanchi di supplicare ed elemosinare ciò che gli è dovuto, i calabresi vogliono che l’Italia arrivi anche in Calabria.
Francesco Patrizio Lapietra