SANITÁ, ORGANIZZAZIONE PASTICCIATA OGNUNO, RIVENDICA DI TUTTO E DI PIÚ
In Calabria si vive la pandemia come una gallina dalle uova d’oro: si chiedono nuovi ospedali, laboratori di microbiologia, poli covid, posti letto di intensiva e sub-intensiva, personale medico e paramedico. Il tutto generato dalla mancata autorevolezza delle istituzioni regionali e dagli apparati dello Stato
La pessima gestione sanitaria dello Stato, della Regione Calabria, delle Asp e delle AO, ha generato diseconomie, disservizi, inefficienze e, peggio, ha abilitato territori e sindaci a chiedere di tutto e più, pensando che si stia vivendo un momento glorioso quasi come se avessimo delle galline dalle uova d’oro. Ed ecco che tutti si sentono legittimati a rivendicare sedi regionali di poli covid, ospedali, laboratori di microbiologia dai costi enormi, si fa dispensa di posti letto di terapia intensiva e sub-intensiva, reparti di pneumologia, assunzione di personale e ventilatori ovunque.
Siamo oltremodo convinti che le vicissitudini legate al coronavirus, potevano o quanto meno avrebbero potuto, tracciare una netta linea rottura da un agire legato a localismi che ad oggi ha caratterizzato la politica sanitaria calabrese sia nei rapporti di forza tra i capoluoghi storici, sia tra i capoluoghi storici l’area jonica, sia all’interno della stessa area jonica.
In questo autentico mix si distingue la mancata autorevolezza del Ministero della Salute nel pretendere il rispetto delle circolari emanate; l’inosservanza delle disposizioni della Presidenza del Giunta Regionale; il ruolo marginale del Commissario ad acta; le varie Asp, con relativi assetti dirigenziali che a vario titolo hanno disposto tutto ed il contrario di tutto, in barba ad ogni basilare logica dettata dal rispetto delle regole e dal buon senso.
Atteggiamenti controversi e poco chiari di tutti gli attori in campo, hanno generato una sorta di guerra fra poveri laddove ognuno ha cercato d’avanzare pretese, talvolta anche anacronistiche o comunque non rispondenti a logiche di territorio, fedeli al pennacchio di turno e scevre da qualsivoglia contestualizzazione della realtà.
Abbiamo assistito, sin dai primi giorni del mese scorso, ad una corsa forsennata nel disperato tentativo di accaparrare anche il singolo posto covid. Finanche strutture dismesse o addirittura edifici nati con diversa destinazione d’uso da quella sanitaria sono stati oggetto di identificazione a polo covid. Petizioni, lettere al Presidente della Repubblica, servizi sui network nazionali, denunce sull’operato degli addetti ai lavori, minacce di ricorso alle procure della Repubblica, coinvolgimento dei Nas.
In tutto ciò c’è da dire che il virus, probabilmente anche a seguito del Lockdown imposto dalla Regione, ha impattato poco, altrimenti sarebbe rimasto ben poco di ciò che ancora ci identifica come una sottodivisione dello Stato.
Si è perso il senso della logica esacerbando una visuale organica e rispettosa dei principi dettati dalle leggi, dalle disposizioni e dalle circolari che rappresentasse al contempo un palliativo ottimale al contrasto della pandemia, attuabile come soluzione concreta per il prossimo futuro. Abbiamo ascoltato di tutto e di più!
Dal maldestro tentativo di rivitalizzare la ex Asl 3, bocciato dalla storia 10 anni fa, non per suoi demeriti, ma per quella gretta visuale centralista che ha voluto accorpare le Asp sui capoluoghi.
Si è proposta la nascita di due spoke nella Sibaritide, dimenticando che la base per uno spoke è tarata su un minimo di 150mila abitanti. Si è lanciata la rivitalizzazione di presidi dismessi o parzialmente tali quasi approfittando della situazione covid per usufruire di qualche posto letto nel nosocomio di pertinenza. Si è divorata lettura finanche di chi nella medesima città litiga attorno ad un reparto covid, non tanto sulla necessità di impiantare il reparto, quanto sulla sua allocazione in area ausonica piuttosto che bizantina. Senza dimenticare le migliaia di petizioni aperte via social per salvare presidi ospedalieri da disegni che, a lor parere, dovrebbero vederne la soppressione. Si è pensata l’istituzione di un Presidio Hub negli attuali stabilimenti ospedalieri dello Spoke Corigliano Rossano. Si è letto di Sindaci che con comportamenti talvolta tendenti alla ripicca, sperano nella riapertura di ospedali minacciando un passaggio da un’Asp ad un’altra qualora le istanze richieste venissero disattese.
Tutto ciò nel mentre languono presidi di sicurezza un po’ dappertutto, quel poco che gira è frutto prevalentemente di donazioni private, e si continua comunque ad assistere a viaggi cadenzati a corriera delle ambulanze tra gli spoke e gli hub, con tanto di costi aggiuntivi esorbitanti.
Si è parlato solo di Covid, come se fosse l’unica patologia che ci affligge. Si muore d’infarto! Eppure non si è spesa una sola parola sulla latitanza di un’emodinamica, tanto a Crotone quanto a Corigliano Rossano, a fronte dei sei reparti tra Ismo, valle Crati, Pollino e Tirreno. Si è fatto un uso spropositato della terminologia hub e spoke, senza minimamente riferirsi agli stessi in funzione dei requisiti che ne permettono la sussistenza. Per avere un HUB necessita una base di 300mila abitanti (dai 600mila ad 1200000 per le aree metropolitane) e la Sibaritide così come il Crotoniate a se stanti non dispongono di tali numeri, che però suffragherebbero in maniera assemblata. Nessuno però si è chiesto come sia possibile che Catanzaro abbia due Hub, di cui uno monco nel reparto PS, seppure la popolazione della provincia sia inferiore ai 400mila abitanti, e poco conta se a quell’area s’annettono ben 3 Asp e due Aziende Ospedaliere, mentre nella Sibaritide non si è stati in grado di assemblare i due distretti Jonio Nord e Sud neppure a seguito della fusione amministrativa delle due ex città.
Ci chiediamo come si possa considerare la visuale delle politiche sanitarie joniche guardando alle aree del Crotoniate e della Sibaritide come a sé stanti, quando è palese anche ai meno avveduti che sono parte integrante di un’unica macro area che contempla le propaggini orientali del massiccio silano laddove gravitano anche due ospedali di montagna, mai perfettamente integrati dalla revisione sanitaria del decreto Scopelliti. Si è ragionato di futili opportunismi e non d’opportunità, schiacciati come siamo al servilismo dei capoluoghi storici che hanno, nel tempo, svuotato tutti gli ospedali di periferia, ingrassando ed ingessando gli hub, rendendo scatole vuote gli spoke ed involucri scialbi gli ospedali minori.
Come Comitato abbiamo sostenuto sin da tempi non sospetti che la sanità jonica deve essere oggetto di profonda revisione e che la stessa non prescinda dal ruolo che dovranno avere gli ospedali di Crotone e Corigliano Rossano (in attesa del nuovo ospedale della Sibaritide) insieme al riuso funzionale e non fotocopia dei presidi rivieraschi dismessi e degli ospedali di montagna. Una rete per acuzie sui 2 spoke collegati ad un’azienda Ospedaliera ed un’Asp che coordini i 4 ospedali di Acri, San Giovanni, Cariati e Trebisacce, insieme ad una medicina territoriale che nelle case della salute veda la sua massima espressione nella garanzia dei LEA.
Su questo, Regione, Commissario ad Acta, Sindaci, Sindacati, dovrebbero coalizzarsi con l’intento di fare rete per creare quel giusto equilibrio fra la domanda e l’offerta in terra jonica, piuttosto che limitarsi a strabiche visuali da pennacchio che hanno come risultato ultimo soltanto il depauperamento ulteriore di ciò che già è stato ridotto all’osso.
Ufficio stampa – Comitato Magna Graecia