Ritardo culturale di almeno mezzo secolo rispetto ai capoluoghi storici
Lo Jonio sconta un ritardo atavico rispetto agli Asset del centralismo.
La vicenda dei polo Covid ha palesato, ancora una volta, lo strapotere dei Capoluoghi storici nei riguardi delle periferie.
Vuoi una serie di motivi, vuoi la mancanza di classi dirigenti degne di tali posizioni, la realtà è che le aree di confino continuano a subire sommessamente le decisioni dei centri di potere, con l’aggravante di un gregariato galoppante che non ottiene il minimo rispetto, tantomeno s’adopera a conseguirlo.
Quello che però lascia ancora più attoniti è uno strisciante e neppure richiesto servilismo, aleggiante in frange ben nutrite di popolazione che s’accodano alle decisioni senza spirito critico alcuno.
Sarà frutto del linguaggio moderno e freddo che i social ci hanno consegnato, sarà che si disconosce il concetto di responsabilità imprescindibile dalle scelte intraprese, ma tant’è.
Forse ci meritiamo le classi dirigenti che amministrano le nostre esistenze!
Perché, se è vero come è vero, che si è persa quella cultura collettiva, che in altri tempi ed altre circostanze, protestava anche animatamente in dissonanza alle illogiche scelte intraprese mentre oggi annuisce a mo’di automa con la politica del “Like”, parimenti sarà vero non lamentarci domani di quello che poteva essere evitato oggi.
Forse non sono bastate le indicazioni del Ministero della salute o le dichiarazioni rilasciate alla stampa dal Presidente dell’ordine dei medici di Cosenza, riguardo alla corretta allocazione dei pazienti Covid nelle strutture sanitarie.
Probabilmente siamo stati affascinati dai rocamboleschi cambi di vedute della Presidenza della Regione Calabria che hanno alternato decisioni circa l’allocazione dei covid, laddove a cadenza settimanale si contraddiceva quanto sostenuto sette giorni prima.
Siamo governati da correnti di pensiero politico che sostengono tutto ed il contrario di tutto. Indigna che non ci sia alcun organo che controlli sulle scelte e le decisioni intraprese, legittimando pertanto un agire alquanto ondivago.
Cosa resterà quando la pandemia covid sarà terminata?
Quale sarà il prezzo che le periferie pagheranno per la loro investitura a promiscui lazzaretti di fortuna nella gestione della pandemia?
Sopratutto, cosa sarà di una società che non discerne il giusto dall’utile?
Troppo presto per dirlo!
Certamente cambierà poco per l’area della Magna Graecia, se a fianco all’agognata consapevolezza di voler crescere amministrativamente, non correrà di pari passo la coscienza collettiva di un popolo che maturi l’idea di crescere mentalmente.
Ad oggi purtroppo la realtà che la storia ci consegna è questa: un ritardo culturale di almeno mezzo secolo rispetto ai capoluoghi storici! Ergo, bisognerà adeguatamente svoltare i polsini delle camicie, portando all’altezza dei bicipiti il risvolto, altrimenti ci resterà ben poco di quanto ancora ci identifica come esseri pensanti.
Necessiterà pertanto una rivoluzione culturale che parta dal basso, investendo quante più persone possibili. Bisognerà sviluppare quel senso critico atto a discernere cosa significhi premiare la crescita piuttosto che favorire dolcemente il processo di controllata sudditanza finalizzata alla soccombenza.
Del resto l’inganno più grande che può tenderci un diavolo non è farci dubitare della sua esistenza; è lusingarci, per cedere lentamente ed inesorabilmente al suo volere.
Domenico Mazza